Marte e vita: un binomio sempre più stretto, che negli ultimi anni ha trovato continue conferme rispetto alla possibilità del pianeta rosso di ospitare forme viventi nel suo passato e, chissà, forse anche nel suo futuro. Dopo la recente scoperta di acqua liquida e salata sotto la superficie marziana e l’ancor più recente ipotesi che questo prezioso liquido contenga ossigeno, un nuovo studio coordinato dal Carnegie Institution for Science parla ora della probabile formazione di composti organici sul mondo rosso.

Secondo il team di ricerca, il carbonio organico marziano potrebbe avere avuto origine da una serie di reazioni elettrochimiche tra l’acqua salmastra e i minerali vulcanici. I risultati, pubblicati oggi su Science Advances, sono stati ottenuti dall’analisi di tre meteoriti marziani caduti sulla Terra: Tissint, Nakhla e NWA 1950. Questo trio di rocce conterrebbe un deposito di carbonio organico che sarebbe coerente con i composti simili trovati dalle missioni dei rover marziani.

Le molecole organiche contengono per lo più carbonio e idrogeno, ma qualche volta anche ossigeno, azoto, zolfo e altri elementi. Questi composti sono in genere associati alla vita, e comprendere il loro processo di formazione sul suolo marziano è una questione cruciale per comprendere la potenziale abitabilità del pianeta rosso.

Analizzando i tre meteoriti con avanzate tecniche di microscopia e spettroscopia, i ricercatori del Carnegie hanno ipotizzato che i composti organici al loro interno siano nati a seguito della corrosione elettrochimica di minerali marziani da parte dell’acqua salata. “La nostra teoria – spiega Andrew Steele, leader dello studio – è che questa interazione abbia formato una sorta di ‘batteria’ naturale, in grado di portare vanti reazioni elettrochimiche la cui analisi potrebbe avere grandi implicazioni per l’astrobiologia.”