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Pioggia di particelle solari su Mercurio

I forti venti che spazzano la superficie di Mercurio sono al centro di uno studio condotto dall’American Geophysical Union. Gli studiosi hanno scoperto che il campo magnetico del pianeta devia il flusso solare di particelle caricate elettricamente a una distanza di soli 1.000 chilometri dalla superficie di Mercurio, un punto chiamato magnetopausa. Lo studio è stato pubblicato su Journal of Geophysical Research: Space Physics.

Le linee del campo magnetico del Sole sono trasportate dal vento solare e si ‘piegano’ nell’entrare in collisione con quelle di Mercurio. Quando sono presenti le condizioni ideali, queste linee contribuiscono alla cosiddetta riconnessione magnetica. Questo fenomeno permette l’entrata delle particelle di vento solare nel campo magnetico di Mercurio, generando un evento di trasferimento di flusso (Fte).

Gli scienziati hanno studiato l’effetto di questa pioggia di particelle su Mercurio grazie ai dati della sonda Nasa Messenger (Mercury Surface, Space Environment, Geochemistry e Ranging), che ha orbitato attorno a Mercurio tra il 2011 e il 2015. La navicella è passata attraverso la magnetopausa di Mercurio in direzione della superficie e lo spettrometro di massa di bordo, Fips, ha registrato la presenza di ioni di sodio, magnesio, alluminio e ioni silicio. Contemporaneamente, il magnetometro integrato ha misurato l’ambiente magnetico locale.

Gli autori dello studio hanno scoperto che l’abbondanza di ioni del gruppo sodio nell’atmosfera è circa il 50% superiore rispetto a quella individuata in assenza di piogge di particelle. Dopo aver esaminato diversi potenziali meccanismi in grado di spiegare questo fenomeno, gli scienziati hanno concluso che la causa più probabile è lo sputtering o polverizzazione catodica. Nel dettaglio, gli ioni vengono liberati a causa del bombardamento di particelle energetiche presenti nel vento solare.

Le osservazioni di Messenger sono un indicatore importante del dinamismo della sottile atmosfera di Mercurio. Non resta che attendere le nuove informazioni che verranno raccolte dalla sonda Esa-Jaxa Bepi Colombo. La missione ha visto il forte contributo dell’Italia che, grazie al supporto dell’Agenzia Spaziale Italiana e al contributo scientifico dell’Istituto Nazionale di Astrofisica, ha realizzato 4 dei 16 tra strumenti ed esperimenti a bordo, oltre a una collaborazione internazionale. La sonda giungerà a destinazione a dicembre 2025, dopo sette anni di viaggio.

Fulvia Croci: Giornalista