Ha una forma pressoché sferica e con il suo diametro di quasi mille chilometri è il ‘peso massimo’ nella Fascia degli Asteroidi, di cui costituisce un terzo della massa totale: stiamo parlando di Cerere, il pianeta nano scoperto nel 1801 da Giuseppe Piazzi, che è al centro di un nuovo studio di Icarus (articolo: “Dynamical origin of the Dwarf Planet Ceres”).

L’indagine, mirata a ricostruire le origini del corpo celeste, si è basata su simulazioni informatiche ed è stata coordinata dall’Università Statale di San Paolo del Brasile; tra i componenti del gruppo di lavoro vi è anche Alessandro Morbidelli, ricercatore italiano in forze all’Università della Costa Azzurra.

Cerere, che percorre un’orbita quasi perfettamente circolare intorno al Sole, è stato il secondo target della missione Dawn della Nasa, cui l’Italia ha dato un importante contributo con l’Agenzia Spaziale Italiana e l’Istituto Nazionale di Astrofisica; il primo obiettivo della sonda è stato l’asteroide Vesta.

Il pianeta nano ha una massa troppo ridotta per trattenere un’atmosfera propria, ma la luce solare fa evaporare l’ammoniaca e il ghiaccio d’acqua presenti sotto la sua superficie dando luogo a una foschia che si diffonde nello spazio. Il nucleo di Cerere è probabilmente costituito da materiali pesanti (come ferro e silicati), ma si differenzia dai corpi celesti vicini per il suo mantello di ammoniaca e di ghiaccio d’acqua.

La maggior parte dei ‘residenti’ nella Fascia degli Asteroidi non contiene ammoniaca: quindi, secondo gli autori del saggio, Cerere dovrebbe essersi formato altrove. Gli studiosi hanno ipotizzato che la sua ‘culla’ dovrebbe essere cercata nella regione più fredda oltre l’orbita di Giove e che la sua collocazione attuale sarebbe dovuta all’enorme instabilità gravitazionale causata dalla nascita dei giganti gassosi del Sistema Solare.

La regione gelata in questione si trova oltre la cosiddetta ‘linea della neve’ (frost line), dove le temperature sono abbastanza basse da provocare la condensazione e la fusione dell’acqua e di altre sostanze volatili come il monossido di carbonio, l’anidride carbonica e appunto l’ammoniaca.

Per testare questa ipotesi, il team della ricerca ha effettuato una vasta gamma di simulazioni informatiche riguardanti la formazione di Giove e Saturno, che sarebbe stata particolarmente turbolenta e segnata da episodi violenti: collisioni tra le versioni embrionali di Urano e Nettuno, espulsioni di corpi celesti dal Sistema Solare, invasione di altri pianeti con massa superiore a quella della Terra nella regione interna del sistema e, infine, dispersione di entità simili a Cerere. Alcune di essi potrebbero aver raggiunto la Fascia degli Asteroidi, dove hanno acquisito un’orbita stabile che ha permesso loro di sopravvivere ad altri sconvolgimenti e di arrivare ai giorni nostri.

I risultati della sperimentazione, secondo i ricercatori, aggiungono nuovi dettagli allo studio del percorso evolutivo del Sistema Solare.

In alto: la superficie di Cerere (Crediti: Nasa/Jpl-Caltech/Ucla/Mps/Dlr/Ida)