Un mondo gelido, lontano e poco conosciuto, che sinora ha ricevuto soltanto la breve ‘visita’ della sonda Voyager 2 della Nasa nel 1986: si tratta di Urano, il settimo pianeta del Sistema Solare, ora al centro di un rapporto scientifico che lo vorrebbe come destinatario di una missione appositamente dedicata e curata dall’ente spaziale americano.

Il rapporto in questione, presentato lo scorso 19 aprile, è la Planetary Science and Astrobiology Decadal Survey 2023-2032, documento predisposto da un comitato di scienziati guidato dalla National Academy of Sciences degli Stati Uniti. Valutare i temi-chiave nelle scienze planetarie e nell’astrobiologia, identificare le missioni prioritarie di classe media e grande e presentare una strategia di ricerca per il decennio 2023-2032 sono gli elementi principali della survey.

In questa edizione del rapporto, il protagonista è appunto Urano per il quale è stato tracciato un concept di missione chiamato Uop (Uranus Orbiter and Probe): l’idea progettuale, infatti, contempla la presenza di un orbiter e di una sonda che dovrebbe scandagliare l’atmosfera del pianeta. La comunità scientifica che ha concentrato i propri studi sul Sistema Solare esterno ha mostrato un grande entusiasmo per la posizione primaria assegnata a tale missione nella survey; nell’edizione precedente, infatti, l’esplorazione di Urano era solo al terzo posto.

Altri documenti preliminari avevano già evidenziato la necessità di pianificare una missione completa – e articolata in due segmenti – verso questo pianeta. L’esultanza degli studiosi deve però fare i conti con questioni tecniche e finanziarie che non sono da poco. Un notevole scoglio è costituito dalla durata del viaggio, la cui lunghezza può variare a seconda che l’orbiter riesca a giovarsi o meno dell’assistenza gravitazionale di un altro pianeta: ad esempio, una ‘spinta’ da parte di Giove farebbe risparmiare tempo e, per poter contare su questo aiuto, la missione dovrebbe essere lanciata verso il 2031-2032 in modo da entrare nell’orbita di Urano verso il 2044-2045.

La ragione per cui l’anno di arrivo è tenuto così in considerazione dagli esperti è connessa all’avvicendarsi delle stagioni sul pianeta ghiacciato. Un anno di Urano equivale a 84 anni della Terra e quando Voyager 2 effettuò il fly by il 24 gennaio 1986, puntò il suo ‘sguardo’ elettronico sull’emisfero meridionale che all’epoca si trovava in estate; quindi, gli scienziati vorrebbero far arrivare l’orbiter prima che nello stesso emisfero cominci la primavera (nel 2049), così da avere una visuale diversa del pianeta.

Un altro scoglio è costituito dai costi, che secondo le stime iniziali si dovrebbero aggirare sui 4,2 miliardi di dollari; una cifra ragguardevole, che ha indotto alcuni scienziati a pensare che forse bisognerebbe elaborare un ‘piano B’ ovvero un concept di missione con un piano-spese che non superi i 900 milioni di dollari, ovvero il budget che la Nasa prevede per le missioni di livello ‘New Frontiers’. Molti però non sono del parere, come Leigh Fletcher, planetologo dell’Università di Leicester che ha preso parte alla stesura della survey.

«Una missione di quel livello – ha dichiarato lo studioso al portale Space.com – potrebbe andare solo in superficie e non sarebbe in grado di investigare l’intero sistema del gigante ghiacciato in tutta la sua ricca diversità. Per esplorare completamente Urano – prosegue Fletcher – dobbiamo essere in orbita, perlustrare l’interno, l’atmosfera e la magnetosfera e visitare la miriade di lune e anelli ghiacciati. Se vale la pena farlo, allora va fatto in maniera appropriata».

In attesa che si sciolgano questi nodi, la comunità scientifica ha cominciato a pensare a un nome iconico per questa missione, che potrebbe rifarsi alla mitologia classica (è stato proposto Caelus, dio romano del cielo) o alla letteratura inglese, visto che le lune di Urano portano i nomi di personaggi di William Shakespeare e Alexander Pope.