In tutto l’universo esiste un pianeta simile al nostro, capace di ospitare la vita? Fin dallo sviluppo dei primi telescopi, questa è stata una delle domande fondamentali dell’astronomia. Ma è solo dalla fine del secolo scorso che la possibilità di trovare finalmente una ‘Terra gemella’ ha iniziato a farsi più concreta. Nel 1995 è stato scoperto il primo pianeta extrasolare, in orbita attorno a una stella abbastanza simile al nostro Sole: 51 Pegasi b, che di fatto ha dato il via alla caccia agli esopianeti.

Da allora, in poco meno di trent’anni, gli astronomi hanno individuato oltre 4.000 mondi distanti, molti dei quali con caratteristiche simili al nostro. E ancora di più ci si aspetta nei prossimi decenni, con il lancio di nuove missioni in grado di espandere gli orizzonti ad oggi conosciuti sugli esopianeti. Il prossimo campione dell’osservazione spaziale è l’attesissimo James Webb, il cui lancio (rinvio dopo rinvio) è ora previsto per il 22 dicembre.

Ma aspettando di ricevere la miniera d’oro di dati raccolti dal Webb e dagli altri telescopi di ultima generazione, alcuni team di ricerca stanno studiando la ‘Terra gemella’ sulla base di modelli simulativi. È il caso di un gruppo internazionale dell’Università Washington e dell’Università di Berna, che ha simulato al computer ben 200.000 esopianeti ipotetici. Segni particolari: stesse dimensioni, massa, composizione atmosferica e geografia della Terra. Obiettivo dello studio, accettato per la pubblicazione su Planetary Science Journal e disponibile su ArXiv, era quello di modellare i tipi di ambienti che gli astronomi possono aspettarsi di trovare su mondi simili al nostro – anche se ancora da scoprire.

I risultati mostrano scenari in alcuni casi molto vicini a quelli terrestri, tranne per una caratteristica: i poli. Sembra infatti che trovare calotte polari ghiacciate, come avviene sul nostro pianeta, sia molto più difficile del previsto.

«Abbiamo simulato il clima della Terra su mondi intorno a diversi tipi di stelle – spiega Rory Barnes, del Virtual Planetary Laboratory dell’Università di Washington. – Nel 90% dei casi di pianeti con acqua liquida sulla superficie, non ci sono strati di ghiaccio come le calotte polari. Quando invece il ghiaccio è presente, vediamo che è più probabile trovare cinture ghiacciate permanenti all’equatore, piuttosto che calotte ghiacciate ai poli».

Oltre ad aiutare i futuri studi sugli esopianeti, questi risultati sono molto utili anche per far luce sulla complessa interazione tra acqua liquida e ghiaccio sul nostro pianeta. Mostrandoci come le calotte polari terrestri, oggi più che mai minacciate dai cambiamenti climatici, costituiscano un habitat molto prezioso da proteggere: associato alla vita, potrebbe infatti essere unico nell’universo.

 

Immagine in apertura: rappresentazione artistica di Kepler-186f, un esopianeta delle dimensioni simili alla Terra e che potrebbe ospitare anche ghiaccio. Crediti: Nasa Ames/Seti Institute/Jpl Caltech