L’avevano sotto gli occhi da secoli ma nessuno se n’era accorto. Archiviata nel posto sbagliato e catalogata in modo errato, la lettera che costò l’accusa di eresia a Galileo Galilei aveva fatto perdere le tracce di sé. Eppure era lì, in una delle biblioteche della Royal Society a Londra, dove è stata scoperta quasi casualmente da Salvatore Ricciardo, giovane ricercatore dell’Università di Bergamo.

Forse tramandata alla Royal Society per un antico legame con l’Accademia del Cimento di Firenze, istituzione fondata nel 1657 da discepoli di Galilei e svanita in una decina d’anni, la lettera è stata esaminata da Franco Giudice, docente di Storia delle rivoluzioni scientifiche dell’Università di Bergamo e dallo storico Michele Camerota dell’Università di Cagliari che ne hanno accertato l’originalità. Il documento scovato da Ricciardo dimostrerebbe che lo scienziato avrebbe smussato le proprie affermazioni nel tentativo di scongiurare la reazione dell’Inquisizione. In sette pagine fitte, marcate da correzioni e destinate a Benedetto Castelli, matematicodell’Università di Pisa, Galileo difende il sistema copernicano, non congruente col dettato delle Sacre Scritture e rivendica la necessità di svincolare la ricerca scientifica dalla teologia.

“Si tratta di un ritrovamento importante, che apre nuove prospettive di approfondimento sulle vicende capitali del rapporto tra Chiesa cattolica e novità scientifiche” afferma Paolo Galluzzi, direttore del Museo Galileo di Firenze. Il testo della missiva su cui si appuntò il Sant’Uffizio per le “idee sospette e temerarie” fu rigettato come artefatto da Galileo che probabilmente, invece, edulcorò la sua lettera con le correzioni appena ritrovate. La scoperta che getterà nuova luce sugli antefatti del processo, anticipata da Nature, sarà pubblicata a firma Salvatore Ricciardo, Franco Giudice, Michele Camerota, su Notes and Records della Royal Society.