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Cuocere meteoriti per studiare l’atmosfera

Prendete un campione incontaminato di meteorite. Infornate a 1200 °C e attendete che tutti i gas siano rilasciati.
Quella che sembra una ricetta spaziale è in realtà l’esperimento messo in atto da un team dell’Università della California, da cui emergono nuovi indizi su un’ipotesi meno comune sulla genesi atmosferica: nei pianeti rocciosi come la Terra, l’atmosfera nascerebbe dal processo di degassamento degli elementi interni e non dalla nebulosa solare.

Lo studio, pubblicato su Nature Astronomy, ha indagato un ambito poco conosciuto, ossia la relazione tra la massa di un pianeta e le sue prime proprietà atmosferiche.

A supporto della ricerca, la simulazione in laboratorio dello sviluppo iniziale di un pianeta. Assumendo le meteoriti come campioni rappresentativi dei mattoni planetari, alcuni loro frammenti sono stati infornati per analizzare i gas rilasciati sotto le alte temperature: “quando gli elementi costitutivi di un pianeta si legano, il materiale si riscalda producendo dei gas e, se il pianeta è abbastanza grande, i gas verranno trattenuti generandone l’atmosfera”, ha spiegato Myriam Telus, coautrice dello studio.

Dal processo di “cottura” dei meteoriti è emersa una differente composizione atmosferica rispetto alle previsioni dei modelli teorici fin qui formulati, che relazionano l’abbondanza chimica atmosferica dei pianeti alla nebulosa solare: all’atteso dominio di elementi quali idrogeno ed elio, si è contrapposta un’atmosfera, quella generatasi attorno ai frammenti di meteorite, dominata da vapore acqueo (66%) e con alte percentuali di monossido di carbonio (18%) e anidride carbonica (15%). “Usare le abbondanze cosmiche «continua Myriam Telus» va bene per i grandi pianeti, come Giove, che acquisiscono la loro atmosfera dalla nebulosa solare, ma si pensa che i pianeti più piccoli ottengano la loro atmosfera più dal degassamento”.

I tre campioni utilizzati arrivano da tre meteoriti distinte: condrite Murchison, caduta in Australia nel 1969; Jbilet Winselwan, raccolto nel Sahara nel 2013; e Aguas Zarcas, caduto in Costa Rica nel 2019.

Appartenenti alla categoria condriti carbonacee, tutte queste meteoriti sono accumunate dal fatto che, come spiega il primo autore dello studio Maggie Thompson, “non si sono riscaldate abbastanza da fondersi, trattenendo le componenti più primitive”. Questo potrebbe essere uno dei motivi per cui il modello teorico utilizzato per le atmosfere planetarie, non ha avuto riscontro nei gas analizzati dalle meteoriti riscaldate.

“Queste informazioni saranno importanti quando cominceremo ad essere in grado di osservare le atmosfere degli esopianeti con nuovi telescopi e strumentazione avanzata”, sottolinea Maggie Thompson.

 

Crediti immagine in evidenza:

Illustration by Dan Durda/Southwest Research Institute

Giuseppe Nucera: Comunicatore scientifico e Multimedia producer. Laureato in Sociologia, ho conseguito il Master in Comunicazione della Scienza e dell'Innovazione Sostenibile dell'Università Milano-Bicocca. Dal 2012 collaboro con diverse agenzie editoriali e pubbliche per comunicare online ricerche e progetti scientifici.