Ha lasciato dietro di sé una serie di grumi e filamenti colorati, dopo aver concluso la sua esistenza con uno spettacolare ‘botto’ finale: si tratta di una stella, esplosa oltre mille anni fa nella Piccola Nube di Magellano, galassia satellite della Via Lattea.

I suoi resti, designati con il codice 1E 0102.2-7219, sono al centro di un nuovo studio, condotto dalla Purdue University (Indiana, Usa) e appena presentato al 237° convegno dell’American Astronomical Society; l’indagine, che ha ricostruito luogo e periodo dell’esplosione, si è basata sui dati dello storico telescopio Hubble.

Gli autori della ricerca, quindi, hanno indossato i panni dei detective e hanno cercato di risalire indietro nel tempo per determinare le coordinate del drammatico evento. I resti, scoperti dall’osservatorio Einstein della Nasa (attivo dal 1978 al 1982), si presentano come grumi e filamenti ricchi di ossigeno ionizzato, considerato dagli astronomi un ottimo tracciatore in quanto risplende nella luce visibile.

I ricercatori, per calcolare il momento dell’esplosione, hanno misurato la velocità di 45 grumi di materiale e tra essi ne hanno individuati 22 particolarmente rapidi; questi cumuli, molto probabilmente, sono stati gli ultimi ad aver subito un rallentamento mentre passavano nel materiale interstellare. Gli studiosi hanno poi tracciato il movimento dei grumi andando a ritroso, fino ad identificare il luogo dell’esplosione; una volta trovata la zona, hanno calcolato quanto tempo questi materiali hanno impiegato per raggiungere la loro attuale posizione.

Secondo le stime del gruppo di lavoro, la luce della supernova ha raggiunto la Terra circa 1700 anni fa, all’epoca della decadenza dell’Impero Romano; il fenomeno però sarebbe stato visibile solo dall’emisfero australe e di esso non sono rimaste tracce in nessuna cronaca dell’epoca. Questo risultato mette in discussione le precedenti valutazioni, basate comunque su dati di Hubble (fotocamere Acs e Wfpc2), che collocavano l’esplosione a mille o duemila anni fa.

Nello specifico, il nuovo studio ha utilizzato soltanto i dati della fotocamera Acs, mettendo a confronto informazioni di recente acquisizione e di archivio. L’utilizzo di dati dalla stessa fonte ha agevolato gli astronomi, che hanno potuto contare anche su immagini molto chiare con cui tracciare i grumi più facilmente.

Hubble ha anche misurato la velocità di un’eventuale stella di neutroni, scagliata dall’esplosione; l’oggetto avrebbe dovuto muoversi a oltre 3 milioni di chilometri all’ora per raggiungere la sua posizione finale. Nonostante ulteriori analisi condotte con l’osservatorio Chandra della Nasa e il telescopio Vlt dell’Eso, la natura di questo oggetto celeste non è stata ancora confermata: potrebbe essere anche un grumo particolarmente compatto di materiale emesso dalla supernova, diventato successivamente luminoso. Il team della ricerca propende per questa seconda ipotesi, ma gli interrogativi restano ancora aperti.