RAGGI X/I dati raccolti nei raggi X dal telescopio spaziale Chandra rivelano che la fusione di due stelle di neutroni osservata nelle onde gravitazionali ad agosto scorso potrebbe aver generato il buco nero più piccolo mai scoperto

A ottobre scorso uno degli eventi più “caldi”, astronomicamente parlando, è stato l’annuncio della rivelazione di onde gravitazionali a seguito della fusione di due stelle di neutroni. Ciò che è rimasto da quella fusione, osservata dagli scienziati a metà agosto dello scorso anno, sembra essere un buco nero molto peculiare: il più piccolo scoperto finora. Nei mesi successivi molti osservatori sono stati ripetutamente puntati su GW170817, questo il nome della sorgente di onde gravitazionali. Uno studio apparso di recente sulla rivista The Astrophysical Journal prende in esame i dati raccolti dal telescopio a raggi X Chandra della NASA.

A partire dai dati raccolti dall’interferometro LIGO, gli astronomi hanno ottenuto una buona stima dell’oggetto che è stato prodotto dalla fusione delle due stelle di neutroni, ovvero circa 2.7 volte la massa del Sole. Questo potrebbe voler dire che si tratta di una stella di neutroni molto massiccia, oppure del buco nero più piccolo mai trovato. Quello che per ora detiene il record di piccola taglia ha 4-5 volte la massa del nostro Sole. «Sebbene stelle di neutroni e buchi neri siano oggetti misteriosi, ne abbiamo studiati molti esemplari nell’Universo, usando telescopi come Chandra», dice Dave Pooley della Trinity University di San Antonio, in Texas, primo autore dello studio. «Questo significa che abbiamo sia dati che modelli teorici su come ci aspettiamo che tali oggetti si comportino nei raggi X».

Se l’esito della fusione fosse stata una stella di neutroni massiccia, allora ci aspetteremmo di vederla ruotare rapidamente su se stessa, manifestando la presenza di un campo magnetico molto forte. Questo, tra l’altro, avrebbe creato anche una bolla di particelle ad alta energia in rapida espansione. Tutto questo sarebbe ben visibile nei raggi X, mentre invece Chandra mostra che l’emissione della sorgente è di qualche centinaio di volte inferiore ai livelli attesi. «Potremmo aver risposto a una delle domande più importanti su questo incredibile evento: che cosa ha generato?», spiega Pawan Kumar dell’Università del Texas ad Austin, co-autore dell’articolo. «Gli astronomi hanno a lungo sospettato che le fusioni di stelle di neutroni potessero formare un buco nero, producendo emissione di radiazione, ma fino ad ora non avevamo prove di questo».

Un’osservazione realizzata da Chandra tra i 2 e i 3 giorni dopo l’evento non è riuscita a rilevare alcuna sorgente, ma i puntamenti successivi, avvenuti a 9, 15 e 16 giorni dalla cattura del segnale di onde gravitazionali, hanno raccolto informazioni interessanti. La sorgente si è ritrovata dietro al Sole poco dopo, ma in seguito, a 110 giorni dall’evento, è stato possibile ripuntare lo strumento, così come a 160 giorni. Confrontando i dati raccolti da Chandra con quelli del Very Large Array, che lavora nelle onde radio, è possibile spiegare l’emissione nei raggi X con un’onda d’urto sul gas circostante dovuta alla fusione.

L’ipotesi che il resto della fusione sia una stella di neutroni non è ancora da scartare del tutto, però. Osservazioni future nella banda radio e dei raggi X potrebbero vedere la sorgente diventare molto più brillante nell’arco di un paio di anni, ovvero quando, stimano gli scienziati, la bolla di particelle ad alta energia raggiungerà l’onda d’urto. Se questo scenario si rivelasse quello giusto, la scoperta di una stella di neutroni tanto massiccia è di grande interesse per chi studia questi oggetti così densi ed estremi. Se invece si tratta davvero del buco nero più piccolo mai scoperto, gli astronomi prevedono che la sorgente ad alte energie diventerà sempre più debole. «All’inizio della mia carriera gli astronomi potevano osservare soltanto stelle di neutroni e buchi neri nella nostra galassia, e ora siamo in grado di vedere queste stelle esotiche attraverso il cosmo», racconta Bruce Gossan dell’Università della California, co-autore dello studio. «Che momento emozionante per essere vivi: abbiamo a disposizione strumenti come LIGO e Chandra che ci svelano nuovi e incredibili comportamenti della natura».