Cercare forme di vita sul pianeta rosso là dove è più probabile trovarla, negli strati che si nascondono sotto la superficie marziana. È uno degli obiettivi dei rover di ultima generazione, a partire dal robottino targato Nasa InSight, giunto su Marte lo scorso 26 novembre.

Dopo aver messo in campo il sismometro Seis (Seismic Experiment for Interior Structure), e il termometro Hp3 (Heat and Physical Properties Package), sono così iniziate le delicate operazioni per perforare il suolo marziano. Apripista è stato proprio lo strumento Hp3, progettato per misurare la temperatura del sottosuolo marziano – un dato fondamentale per comprendere l’evoluzione del mondo rosso e rilevare eventuali tracce biologiche passate o presenti.

Attivato automaticamente dal German Aerospace Center, responsabile dell’esperimento, Hp3 è penetrato nella superficie di Marte fino a una profondità iniziale compresa tra 18 e 50 centimetri. Sono stati necessari circa 4.000 “colpi”, in un periodo di 4 ore: in questa fase serve infatti particolare cautela per evitare di collocare lo strumento su pietre larghe oltre un centimetro, che potrebbero danneggiarlo. Per questo la talpa, come è chiamato il sensore di Hp3 cui spetta il complesso compito di perforare il suolo di Marte, è progettato per procedere a intervalli di 50 centimetri ed evitare eventuali ostacoli.

“Nel suo percorso verso le profondità di Marte – spiega infatti Tilman Spohn, leader dell’esperimento – la talpa sembra aver incontrato un sasso, per questo ha deviato di circa 15 gradi prima di procedere.” La discesa verso gli strati più profondi del mondo rosso sarà quindi molto lenta, prima di raggiungere l’obiettivo prefissato: spingersi a 5 metri sotto la superficie del pianeta per misurarne la temperatura. Un traguardo mai raggiunto prima dagli altri esploratori marziani: il lander della missione Viking 1 ha raggiunto i 22 centimetri di profondità, mentre il suo collega Phoenix non ha superato i 18 centimetri.

Hp3 riprenderà a breve la sua discesa, dopo un periodo di raffreddamento cui seguirà un’altra sequenza di 4 ore di lavoro.  E così via a intervalli regolari, fino a raggiungere il flusso di calore che gli scienziati si aspettano di trovare nei meandri di Marte.