Quanto rapidamente si sta espandendo l’Universo? Questa domanda tormenta gli astronomi da circa un secolo, e ha dato vita, negli anni, a diversi studi che forniscono stime differenti.  Ora, un team internazionale di astronomi dell’University College London (UCL), ha provato a rispondere attraverso l’applicazione di un nuovo metodo che pone al centro le onde gravitazionali prodotte dalla fusione di stelle di neutroni binarie. 

Il succo della questione ruota attorno alla costante di Hubble, un numero che mette in relazione tra loro le distanze delle galassie con lo spostamento verso il colore rosso della loro luce. Lo spostamento verso il rosso, o redshift, è dovuto al fatto che la galassia si allontana, e la sua luce viene “stirata” verso frequenze maggiori, ovvero quelle associate al colore rosso. 

La costante è essenziale per stimare la curvatura dello spazio e l’età dell’universo ma senza un valore preciso gli astronomi non sono in grado di determinare con precisione le dimensioni delle galassie, l’età dell’universo e la storia della sua espansione.

La maggior parte dei metodi per derivare la costante di Hubble utilizza due fattori principali: la distanza della sorgente e il suo redshift e secondo gli autori dello studio, questi metodi porterebbero a risultati contrastanti, il che suggerisce che il modello cosmologico proposto potrebbe dover essere rivisto.

Il team ha quindi proposto un nuovo modello per calcolare la costante di Hubble che si basa sullo studio delle onde gravitazionali emesse dalla fusione di stelle di neutroni binarie, in grado di fornire alla comunità scientifica dati sufficienti per determinare in che misura l’universo continui ad espandersi. Per avere una stima precisa gli autori hanno bisogno di osservare la fusione almeno di 50 stelle di neutroni.

Ad oggi, abbiamo assistito all’osservazione e all’ascolto della fusione di due stelle di neutroni una sola volta, l’unica nella storia, nell’agosto del 2017 grazie ai rilevatori di onde gravitazionali Ligo e all’italiano Virgo. Ma gli autori sono fiduciosi e sostengono che nell’arco di dieci anni potrebbero arrivare al numero necessario.

I loro risultati sono stati pubblicati su Physical Review Letters.